Le vittime sulla strada sono ancora troppe. Reprimere i comportamenti errati non basta. La soluzione? Si potrebbe coordinare le regole a livello europeo, per avere così un quadro di riferimento unitario. Ma le Istituzioni e gli Enti locali non sempre si parlano tra loro: specie se si tratta di individuare le risorse finanziarie
I dati della UE parlano chiaro: anche se dal 2001 al 2011 la riduzione della mortalità per gli incidenti stradali ha fatto passi avanti, non è stato raggiunto l’obiettivo – imposto nel 2001 – di dimezzare i decessi. Sulle strade europee muoiono, ogni giorno, più di 82 persone per un totale, nel 2011, di 30168 vittime. È come se in Europa, ogni ora, morissero tre persone a causa di un incidente stradale. Il numero dei feriti è ugualmente impressionante: per ogni decesso se ne contano ben 44, con un totale complessivo di oltre 1,3 milioni di ricoveri.
E in Italia? In 10 anni le vittime sull’asfalto sono calate del 45,6% passando, dalle 7.096 persone decedute nel 2001, alle 3.860 del 2011. Un dato certamente positivo, non lontano dall’obiettivo stabilito dall’Unione Europea: ma dietro questi freddi numeri vi sono vite spezzate, progetti che si interrompono per sempre, il dolore di chi rimane e conseguenze sociali ed economiche incalcolabili. Di fronte a quasi 4.o00 morti all’anno, qualsiasi risultato ottenuto non sarà mai abbastanza: e in vista della nuova sfida di dimezzare le vittime entro il 2020, occorre cambiare strategia. Ma quale?
Cercando un nuovo approccio
Se ne è parlato a Roma lo scorso 18 settembre, al convegno “La sicurezza stradale in Italia nel contesto dell’obiettivo europeo 2020”, organizzato dalla Fondazione Ania per la Sicurezza Stradale, la struttura costituita nel 2004 dall’Associazione Nazionale delle Imprese Assicuratrici. Per il Presidente Aldo Minucci è indispensabile “coordinare a livello europeo le norme sulla circolazione, così da fornire un quadro di riferimento unitario e chiaro per addetti ai lavori, cittadinanza, mezzi d’informazione e Istituzioni centrali e locali”.
Può certamente essere un buon punto di partenza arginare il bollettino di guerra sulle strade agendo a livello comunitario verso un linguaggio europeo comune. Ma è solo un punto di partenza e, come tale, non basta. Perché è anche necessario indirizzare le Istituzioni verso regole condivise fra mondo tecnico e compagine politica e, se possibile, proposte concrete e fattibili. Come quelle presentate a Governo e Parlamento da Dekra Italia, la filiale nazionale del colosso tedesco operante da quasi 90 anni nel settore della revisione dei veicoli e nella certificazione, oggi presente sul mercato nei settori più disparati: dalla tecnologia alla consulenza strategica.
Le proposte vertono sull’obbligatorietà delle revisioni annuali per i veicoli con oltre dieci anni di vita, sull’introduzione dei corsi di guida sicura per i neopatentati, fino all’incentivazione delle tecnologie di bordo per la sicurezza: come il radar anticollisione e il sistema di avviso di superamento corsia.
La sicurezza stradale ha un vincolo. Di bilancio!
La prevenzione è quindi l’idea guida dominante su cui convergono tecnici e decision-maker. Il che non significa confinare in un angolo i controlli di tipo tradizionale, controlli che in Italia “sono di ben sette volte inferiori a quelli condotti in Germania” sottolinea il Presidente della Commissione Trasporti alla Camera on. Michele Meta, che vorrebbe superare, almeno in questo contesto, il limite del vincolo di bilancio, o di spesa. Ovvero, l’impossibilità di procedere a spese prive di copertura, anche se fatte nell’interesse pubblico. “Il vincolo è un controsenso” spiega Meta, perché “I costi degli incidenti stradali equivalgono a circa un punto e mezzo di PIL”: gli interventi potrebbero pertanto ripagarsi con la diminuzione del costo sociale per la collettività, senza contare il gettito IVA per la fatturazione dei lavori.
Dello stesso parere il senatore Altero Matteoli – già Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, ora Presidente della Commissione Trasporti al Senato – che ricorda come negli ultimi dieci anni qualsiasi proposta innovativa, mirata a superare il vincolo di bilancio in nome della sicurezza stradale, si sia inevitabilmente arenata, scontrandosi con la più assoluta “chiusura” dei dicasteri finanziari, traducendosi in un conseguente immobilismo.
Una situazione gattopardesca (“Bisogna che tutto cambi, perché nulla cambi”) cui si sommano scenari paradossali: come la possibilità per i cittadini italiani di ritargare l’auto, immatricolandola in alcuni Paesi stranieri, per sottrarsi ai controlli automatizzati (Tutor, autovelox, varchi di accesso alle ZTL, ecc.). In rete fioriscono organizzazioni – perfettamente legali – che favoriscono questa “emigrazione” dell’auto o, meglio ancora, della targa.
Ancor più incredibile suona l’impossibilità, per l’ANAS, di percepire gli introiti dalle sanzioni per le infrazioni al Codice della Strada, diversamente da Comuni e Province a loro volta gestori di infrastrutture. Il motivo? “L’ANAS, spiega il Presidente Pietro Ciucci, è considerata un gestore di arterie a pedaggio e beneficiaria, in quanto tale, dei relativi incassi. Peccato che le nostre strade non siano a pedaggio”. Una situazione a dir poco imbarazzante, su cui il Sottosegretario ai Trasporti Rocco Girlanda promette di intervenire al più presto.
È evidente come individuare una linea di azione comune non basti: dimezzare ulteriormente le vittime della strada entro il 2020 significherà, soprattutto, superare i protezionismi delle singole Amministrazioni, logicamente più preoccupate di mantenere in vita se stesse, che di investire in servizi, infrastrutture e miglioramenti della rete stradale.
Una missione difficile ma, forse, non impossibile.
Alessandro Ferri