Si allarga il fenomeno delle targhe modificate. E non è conseguenza della crisi. Cosa rischia chi procede a camuffare – più o meno astutamente – le targhe di auto e moto
Agli osservatori più attenti sarà senz’altro accaduto – tanto in città che in autostrada – di imbattersi in auto o moto con targhe più o meno contraffatte, o modificate in modo tale da apparire illeggibili in tutto, o in parte. Il più delle volte viene usato del nastro adesivo bianco, o nero, ritagliato ad arte per nascondere, modificare, trasformare la targa, variando numeri e lettere facendo diventare una “E” una “L”, o un “9” un “8”, e via elencando, comunque quanto basta per impedire l’intercettazione del contrassegno dai vari Tutor e autovelox, posti lungo strade e autostrade, per entrare liberamente nelle ZTL sorvegliate da dispositivi elettronici o anche, soltanto, rendere difficile l’annotazione della targa ai tutori dell’ordine.
Un comportamento senz’altro censurabile: non solo per la generale riprovazione sociale (di molti, ma non di tutti) che scaturisce, non solo per le severissime pene previste dal Codice della Strada (ne parleremo), ma anche per l’idiozia di fondo che caratterizza l’autore del gesto. Che non oltre a trascurare la gravità delle conseguenze sul piano amministrativo e penale, non mette nel dovuto conto una verità tanto elementare quanto (per lui) preoccupante. Che con la diffusione pressoché totale della telefonia mobile, è diventato sempre più facile, per quella collettività dove gli “onesti” sono sempre la maggioranza, avvisare le Forze dell’Ordine, riferire luogo dell’avvistamento di una targa sospetta e modello di auto e moto, e lasciare che le cose prendano il loro giusto corso.
Succede infatti che la maggior parte delle autovetture o delle motociclette, guidate dai “furbetti del quartierino” che ne modificano la targa, venga sorpresa in base a segnalazioni – non necessariamente anonime – di altri utenti della strada. Le Forze dell’Ordine sono molto sensibili, tutte, a questo genere di segnalazioni e, quando ne ricevono una, intervengono immediatamente con priorità assoluta, se non vi sono emergenze più gravi. State pur certi che se vi trovate, ad esempio in autostrada e, imbattendovi in una targa “taroccata”, telefonate alla Stradale riuscendo a indicare il chilometraggio esatto dell’arteria, rimarrete sorpresi di come, in pochi minuti, piomberà sul posto una pattuglia che, una volta fermato l’incauto guidatore, procederà d’ufficio alle severe conseguenze del caso.
Dalla sanzione amministrativa al penale
Ma cosa rischia, nello specifico, un guidatore che contraffa la targa della propria vettura o della moto? Il Codice della Strada, su questo punto, è spietatamente chiaro: l’articolo 100 prevede che il conducente di un veicolo o motoveicolo munito di targa non propria, o contraffatta, è soggetto innanzitutto a una contravvenzione pesante, che parte da 1.988,00 euro, e può arrivare a 7.953,00. A tale contravvenzione si aggiunge anche il fermo amministrativo del veicolo per tre mesi, per il quale viene redatto apposito provvedimento. La targa, poi, viene sequestrata, e inviata all’ufficio della DTT (Direzione Trasporti Terrestri) competente per territorio. Più pesanti ancora le conseguenze, se c’è reiterazione della violazione (confisca del veicolo) e se la targa è manomessa, o falsificata o alterata e vi è, quindi, una vera e propria intenzionalità nel modificare la targa. In tal caso, oltre a quanto sinora ricordato, la targa viene sequestrata e posta a disposizione dell’Autorità Giudiziaria, mentre per il guidatore scatta una denuncia penale, con successivo eventuale processo, e rischio delle sanzioni penali previste dall’Art. 489 del Codice Penale.
Modificare la targa, come si vede, non conviene. Eppure sono in tanti che continuano a rischiare: l’ultimo, in ordine di tempo, ci è capitato davanti ieri, in una strada di Roma. Per rispetto alle leggi sulla privacy, evitiamo di pubblicare la targa e il modello di auto (anche se la tentazione è forte), limitandoci invece a descrivere la modifica effettuata: nastro adesivo bianco, per trasformare la coppia di lettere iniziale “DT” in un’improbabile “DI” (la lettera “I”, come noto, non è mai stata utilizzata nelle sigle delle targhe italiane. Il ché la dice lunga sulla caratura di chi cerca di eludere controlli, e contravvenzioni, affidandosi a un sistema tanto empirico, quanto estremamente facile da scoprirsi.
La casistica delle modifiche è vasta e sterminata: si va dalla creazione artistica di numeri inesistenti (c’è chi trasforma il “3” in un “5”, ma c’è addirittura chi fa diventare un “4” un “7”, e viceversa), alla reinterpretazione libera delle sigle. E c’è anche chi si fa prendere la mano, com’è accaduto la scorsa estate a un automobilista calabrese che, vicino Genova, è stato sorpreso da una pattuglia della Polizia Stradale con una fiammante Ford, cui era stata apportata una sbadatissima modifica sulla targa. La sigla iniziale “EM” era stata modificata, infatti, nella coppia “FM” che, in base alla progressione attuale, dovrebbe essere distribuita non prima del 2016: una malaccortezza che non si sa proprio come commentare, ma che ha permesso agli agenti di andare a colpo sicuro. In tanti anni sulla strada, ci è accaduto di vedere un po’ di tutto: dalle modifiche estemporanee, tese a “pasticciare” la targa in modo tale da renderla illeggibile senza dover far apparire numeri o lettere comprensibili, fino ai fogli di carta applicati con una precisione tale, al punto che potrebbe essere addirittura encomiabile, se essa non configurasse un illecito. I camuffatori più evoluti – e più diffusi – sono quelli che allentano le luci di illuminazione della targa, riuscendo a coprirla grazie alle lampadine opportunamente pendolanti, o che altrimenti installano dei poderosi ganci di traino ben in vista, posizionati in modo da renderla leggibile solo a chi riesce ad avvicinarsi a distanza ridotta.
Ci sono anche le foglie secche, ma che tanto secche poi non devono essere se, stranamente, si trovano sempre ben attaccate alla targa, fino ai casi di sporcizia. Senza dover faticare troppo, si vedono in giro auto, moto e scooter impeccabili e sempre a lucido, ma con la targa talmente sporca da non riuscire nemmeno a capirne la nazionalità. Veri e propri maestri sono i molti scooteristi e motociclisti che procedono, imperterriti, con le catene antifurto davanti la targa, come un insolito e casuale sipario. Tutte soluzioni astute, ingegnose perché facilmente reversibili, e che a una contestazione eventuale delle Forze dell’Ordine, possono sempre opporre il fatto che non se ne erano accorti. Che la lampadina è venuta giù all’improvviso, che la catena antifurto si è spostata da sola, e che le pozzanghere e le buche hanno sporcato la targa senza che sapesse nulla.
Camuffare la targa è quindi, in pratica, un comportamento più diffuso di quanto sembri. Ma chi sono, in sostanza, i trasgressori? Tracciare un profilo medio di chi modifica le targhe per sfuggire ai controlli è, tutto sommato, meno facile di quanto sembra. Perché da un lato troviamo i professionisti dell’elusione e della furbizia, consapevoli del rischio e, proprio per questo, tesi verso strategie il più possibile evolute e raffinate. Dall’altro, invece, abbiamo tanta, troppa ingenuità da fare perfino tenerezza: vedi quanti coloro “inventano” targhe con sigle improbabili, senza nemmeno documentarsi se esistano veramente. I blog e i forum in rete abbondano di testimonianze sull’argomento, dove la spregiudicata disinvoltura a modificare la targa, per poter approfittare di prestazioni velocistiche su autostrade strettamente sorvegliate, sembra essere propria dei giovani. Certamente le persone più propense di altre ad agire in modo non conforme alla società, certamente quelli che contano più di tutti sull’indifferenza del prossimo, forse perché – più di altri – risentono dell’indifferenza della società alle loro attese. Senza però scendere nella prospezione sociologica, va sottolineato come il modificare la targa sia espressione di un atteggiamento irritante, che esprime tracotanza e confidenza sull’omertà altrui: una sorta di “non avranno il coraggio di venirmi a dir nulla”. Non resta quindi che contrastare questo atteggiamento nel solo modo possibile: vincendo la connaturata, atavica paura italica di “far sapere”, di puntualizzare, e l’improbabile timore di ritorsioni. Le spie e i delatori non piacciono a nessuno, ma una telefonata alle Forze dell’Ordine che avvisa dell’esistenza di un’auto o di una moto “irregolare” è molto più che un dovere civico: è il segnale tangibile che esiste un sistema sociale, che è in grado di far rispettare le sue regole, e di proteggersi.
Alessandro Ferri