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Maserati: officina e famiglia. Dal 1970 ai giorni nostri

Dalla biturbo alla nuova Granturismo; dall’arrivo della Citroën ai libri quasi in tribunale; dalla Fiat alla Ferrari

Gli anni ‘70

Arriva la Citroën: il break-even point di qualsiasi iniziativa industriale di grandi dimensioni si sposta verso l’alto e, per mantenere il ritmo, servono nuovi capitali che la famiglia Orsi trova attraverso la partnership con il colosso francese. Il matrimonio, che produrrà una profonda ristrutturazione aziendale e la discussa Citroën-Maserati, non durerà a lungo. La Famiglia Orsi si disimpegna definitivamente e la stessa Casa francese, allora lontana dalla mentalità tipica del produttore di auto d’élite, optò nel 1975 per la messa in liquidazione della fabbrica modenese il cui pacchetto azionario venne rilevato dalla GEPI e da Alejandro De Tomaso che ne divenne Amministratore Delegato.

Nel 1971 Giugiaro firma la Bora, per le GT Maserati un’autentica rivoluzione a motore posteriore centrale che altro non era se non la risposta del Tridente alle Lamborghini Miura e De Tomaso Mangusta; debuttò nel marzo 1971 al Salone dell’auto di Ginevra. La sua monoscocca, in acciaio con telaietto separato per il motore, accoglieva propulsori 8V da 4.700 cc e 310 cv e, per gli USA, un 8V da 4.900 cc depotenziato a 300 cavalli, successivamente rivisto ed adottato come unica motorizzazione (versione Europa con 330 cv ed USA con 320); venne prodotta dal ’71 al ’78 in complessivi 759 esemplari.

Come la Bora fu la risposta all’alta gamma a motore posteriore di Ferrari e Lamborghini la Merak lo fu per contrastare la concorrenza delle «piccole» Dino GT4 ed Urraco.

Lo studio del corpo vettura 2+2 fu sempre appannaggio della Italdesign di Giugiaro che trasferì sulla Merak quanto più possibile della Bora in modo da mantenere un appeal comune alle due coupé; queste risultarono del tutto simili nel muso, in parte del padiglione e nelle portiere. Laddove la Merak si differenziava nettamente dalla Bora era nell’abitacolo (caratteristico il suo lunotto verticale) e nella parte posteriore caratterizzata da un cofano motore piatto e da due elementi di raccordo laterali che, unendo il padiglione tronco alla coda, imitavano la linea laterale della Bora.

Il motore, un V6 da 3.000 cc e 180 cv, derivava direttamente dal V6 da 2.700 cc della Citroën, che Maserati «prestò» alla Merak con il cambio, a cinque marce sincronizzate, il servofreno idraulico, il sistema idraulico di comando dei fari a scomparsa (comune anche alla Bora), la plancia con strumentazione ovale ed il volante monorazza, un vero e proprio orrore per i cultori dell’auto sportiva ad alte prestazioni. Negli ultimi anni di produzione infatti, sia la plancia sia il volante, furono sostituiti da quelli della Bora, stessa fine fece il cambio di origine francese, soppiantato da un più appropriato ZF.

L’avvento del «tutto dietro» non piacque alla parte più tradizionalista della clientela Maserati che dovette correre velocemente ai ripari realizzando la Khamsin che, carrozzata da Bertone (Marcello Gandini il designer), fu l’ultima Maserati progettata dall’ing. Giulio Alfieri. Presentata ufficialmente nel 1973 al Salone dell’Automobile di Ginevra, venne anch’essa battezzata col nome di un vento, il Khamsin appunto, che spazzava il deserto egiziano. Il ciclo vitale di questo bel coupé non fu fortunato: dapprima la crisi petrolifera di quegli anni e poi le difficoltà della Citroën, fecero uscire di produzione un’auto che se da una parte pretendeva 17,5 litri di carburante ogni 100 km, dall’altra portava lussuosamente i suoi occupanti a 275 km/h e faceva provare loro l’emozione (per quei tempi) di uno scatto 0-100 km/h in 7,3”. 

Dal 1980 al 1993

Il 14 dicembre 1981, 67° anniversario del Tridente, arrivano sul mercato i primi esemplari della Biturbo che segna il ritorno alla classica impostazione del motore anteriore longitudinale e trazione posteriore. Aveva sospensioni anteriori a ruote indipendenti, retrotreno a bracci oscillanti e impianto frenante a 4 dischi; il V6 da 2.500 cc 3 valvole per cilindro derivava da quello della Merak (che di valvole ne aveva 2) ed era sovralimentato da un turbo per ciascuna bancata. A causa della dissennata e populista politica fiscale contro l’auto di (non solo) quegli anni (IVA al 18% fino a 2 litri e 38% oltre) la cilindrata per le vetture destinate all’export era di 2.491 cc (192 cv) e 1.996 cc (182 cv) per gli esemplari destinati al mercato domestico.

Nel 1984 arrivò per l’Italia la Biturbo S che, grazie all’intercooler, raggiungeva i 205 cavalli mentre l’anno dopo si aggiunsero anche la Biturbo 425 (berlina 4 porte basata sul pianale allungato della coupé) e la Biturbo Spyder (basata sullo stesso pianale accorciato). Sempre doppie, per le solite ragioni fiscali, le motorizzazioni. Nel 1986 arrivò anche la Biturbo 420 S (con varianti estetiche simili alla coupé S) e motore da 205 cv, che precedette l’introduzione – su tutta la gamma – dell’iniezione elettronica (che a fronte di maggiore morbidezza di funzionamento fece perdere un po’ di grinta), delle 4 valvole per cilindro, dell’ABS ed infine di un ulteriore aumento di cilindrata a 2,8 litri.

Nel 1991 arriva la Racing, mossa da una versione ancora più spinta del V6 24 valvole, ora da 285 cv. Sarà il canto del cigno della Biturbo, sostituita nel 1992 dalla Ghibli II. Con i suoi 37.000 esemplari complessivi fra Biturbo, Biturbo S e spyder (prodotta presso gli stabilimenti Innocenti di Milano), è stata la Maserati più prodotta di tutti i tempi. 

Arrivano Fiat e Ferrari

Nel 1993 la Fiat rilevò da De Tomaso la proprietà della Maserati il cui coordinamento Giovanni Agnelli volle affidare alla Ferrari in modo da ottimizzare prodotti e costi e differenziare i marchi in modo da evitare perniciosa concorrenza infragruppo.

Il primo risultato, dopo uno stop di sei mesi nel corso del quale le linee di Modena vengono aggiornate, arriva nel 1998 l’auto del rilancio: è la Coupé 3.200 cc carrozzata da Giugiaro, motorizzata all’inizio con il vecchio V6 Biturbo sostituito, solo dopo poco tempo, dal V8 Ferrari tarato in chiave Maserati. Da una costola della Coupé nasce la Coupé GranSport e la spyder che firmerà il rientro, nel 2001, del Tridente nel mercato USA.

A parte il Trofeo monomarca animato dalla Coupé, nel 2004 la Maserati torna in pista grazie alla MC12 disegnata da Giorgetto Giugiaro e Frank Stevenson, e sviluppata da Giorgio Ascanelli in collaborazione con la Dallara.

Questa vettura sottolinea anche in pista la diversità fra livello dei marchi di lusso del Gruppo Fiat: alla Ferrari la Formula 1 ed alla Maserati le gare a ruote coperte.

La MC12 partecipa dal 2005 al 2010 al Campionato FIA GT aggiudicandosi:

Nel 2007 debutta al Salone dell’Auto di Ginevra la nuova GranTurismo firmata, dopo quasi 50 anni, da Pininfarina che si rimette in gioco, poco tempo dopo, con la nuova Quattroporte. Quest’ultima diviene auto di rappresentanza del Presidente Ciampi che, per sottolineare gli ideali legami con il Tridente rappresentati dalla Quattroporte del Presidente Pertini, opta per il «Blu Pertini».

Le sue caratteristiche tecniche e la sua silhouette apportano alla Presidenza della Repubblica un’immagine sobria ma dinamica e performante, proprio come i cittadini vorrebbero fosse la loro inefficiente classe politica.

A Shangai viene presentata nel 2013 la nuova Maserati Ghibli che integra la gamma Quattroporte ed ospita, per la prima volta nella storia del Tridente, un plurifrazionato e potente propulsore diesel da 275 cv. È il segno dei tempi, un segno che ci porta alla fine di questa storia italiana ricca di contenuti umani, tecnici, agonistici e societari che per l’appassionato di storia dell’auto potrebbero risultare affascinanti quanto un romanzo d’azione.

Giovanni Notaro

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