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Dalla Ferrari 250 Berlinetta Tour de France 1956 alla nuova F12tdf

In questa prima puntata un viaggio lungo quasi 60 anni che collega l’artigianalità dell’antesignana delle «L» ed SWB e GTO ai sofismi dell’attuale F12

La recentissima «uscita» della nuova F12tdf derivata dalla F12 che verrà prodotta in «soli» 799 esemplari, ci dà l’opportunità di approfondire l’affascinante significato della sigla «TDF», acronimo di una delle più belle competizioni su strada di quegli anni, il Tour de France Automobile (per distinguerlo dall’altrettanto celebre Tour in bici che ancora oggi si corre sulle belle strade francesi).

AP TDF 10 015

È intrigante comunque sapere che il citato acronimo è stato ufficialmente utilizzato dalla Ferrari solamente in occasione del lancio di questa serie speciale di F12 mentre la denominazione della vettura del 1956, era semplicemente Ferrari 250 GT Berlinetta poi «gergalizzata» dagli appassionati in 250 TDF, in onore delle numerose affermazioni di questo modello nella classica a massacrante gara di durata su strada francese.

F3 TDF 10 015

Questa berlinetta era anche conosciuta con l’altro e più tecnico acronimo LWB (Long Wheel Base = passo lungo) che la distingueva dalle versioni SWB (Short Wheel Bse = passo corto), sigle che diverranno ben più celebri con l’avvento della successiva  250 GT  SWB del 1959 e della ugualmente celebre spyder California, direttamente derivata dalla versione chiusa della quale adottava l’intero rolling chassis, anch’essa prodotta nelle due suddette varianti di passo LWB e SWB.

La 250 GT Berlinetta «TDF» venne realizzata dalla Ferrari in 45 esemplari prevalentemente destinati alle competizioni della categoria Gran Turismo cui ambivano partecipare i sempre più numerosi clienti sportivi che richiedevano a Maranello vetture in grado di ambire al podio;   alcuni però, vennero realizzati con specifiche stradali.

Meccanica

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Il V12 Di questa Berlinetta – discendente dal progetto originario di Gioachino Colombo sviluppato da Aurelio Lampredi – aveva una distribuzione a due valvole per cilindro comandate da un singolo albero a camme in testa per bancata ed era un “corsa corta (alesaggio x corsa = 73 mm x 58 mm) con singola candela di accensione posta all’interno della «V» dei cilindri (che negli ultimissimi motori siglati 128 DF passarono all’esterno dei cilindri) mentre l’alimentazione era assicurata da una batteria di 3 carburatori verticali Weber 36 DCL3; rapporto di compressione 8,5:1.

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Con una cilindrata di 2.953 cc il propulsore della versione 1956/57 erogava ben 240 cv a 7.000 giri/min., che nella versione 1958, salirono sino a 260 cv. Una parte degli ultimissimi esemplari prodotti della serie è del motore V12 tipo 128 DF, sempre da tre litri ma con le candele d’accensione all’esterno della «V». Il cambio era a quattro rapporti sincronizzati + retromarcia con leva di comando centrale o decentrata che dal 1958 divenne solamente centrale.

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La trasmissione era ovviamente posteriore con ponte rigido e differenziale che poteva montare più rapporti in funzione delle velocità  utili per il tracciato che la clientela sportiva doveva di volta in volta affrontare (da 202 a 240, 257 km/h nelle versioni più spinte).

Il telaio in tubi d’acciaio aveva un passo di 2600 mm mentre la ciclistica (sospensioni anteriori a ruote indipendenti e sterzo a cremagliera, posteriori a ponte rigido; freni a tamburo sulle 4 ruote) era condivisa con le 250 GT «Boano» e «Ellena»; le ruote a raggi erano a Borrani e montavano pneumatici 6,00×16″.

Esterni

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La carrozzeria interamente in alluminio – disegnata da Pininfarina e realizzata da Sergio Scaglietti a Modena – fu oggetto di quattro rivisitazioni: mentre la prima serie era caratterizzata da linee tondeggianti, le tre seguenti si presentarono invece con linee più spigolose, con differente forma dei fari, con diverso numero di sfoghi-aria sui montanti e con paraurti montati sugli esemplari stradali mentre quelli da competizione ne erano quasi sempre privi.

Interni

Sostanzialmente identici nelle due versioni, potevano montare, talvolta indifferentemente, finestrini discendenti nelle versioni stradali e scorrevoli in quelle da corsa.

Tipici Ferrari il volante Nardi legno-alluminio a tre razze e la strumentazione  composta da 5 strumenti circolari, due grandi (contagiri e tachimetro) e tre più piccoli (manometro olio, orologio, termometro acqua); curiosa, ma non deve meravigliare dati i tempi, la condivisione degli strumenti con la Lancia Aurelia B20 mentre gli interruttori provenivano da modelli Fiat (una premonizione?).

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Quando Ferrari «sposava» una causa o, come in questo caso, un oggetto ovvero i sedili avvolgenti della TDF, lo faceva sul serio ed infatti il modello del sedile «TDF» venne mantenuto sulle successive 250 GT SWB, 250 GTL e su alcune delle 250 GTO ancora oggi in «circolazione».

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Le competizioni

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Dal 1956 al 1960 la «TDF» venne utilizzata nelle gare della categoria Gran Turismo vincendo ovunque;   4 furono i successi al Tour de France (1956, 1957, 1958 e 1959; tre di questi firmati da Olivier Gendebien e Lucien Bianchi), 2 le vittorie alla Mille Miglia (1956 e 1957) ed alla 1000 km del Nürburgring (1959 e 1960) ed a queste si sommarono i successi alla Targa Florio (1957), alla 12 Ore di Sebring (1958) ed alla 24 Ore di Le Mans (1959).

Poiché è impossibile citare tutti i piloti non professionisti o semiprofessionisti italiani che si sono cimentati con questa vettura, ricordiamo solamente Luglio, Lualdi e Taramazzo (1°, 2° e 3° alla Coppa Intereuropa di Monza del 1957) due dei quali (Taramazzo e Lualdi) nel 1958 salirono nuovamente sullo stesso podio condividendolo con Leto Di Priolo.

Nell’agosto di quest’anno, nel corso dell’annuale Asta-Evento RM-Sotheby’s di Monterey, una 250TDF del 1956 è passata di mano per 13,2 milioni di dollari…

Domani la seconda e ultima puntata.

[ Giovanni Notaro ]