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La “riscalata” di Alpine

Lo storico marchio francese, torna quest’anno alle competizioni e sbanca – con il Team Signatech-Alpine e la A450 – il campionato “European Le Mans Series” 2013. Ma dietro il successo c’è tanta storia…

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35 anni dopo il trionfo dell’Alpine A442b di Pironi/Jaussaud alla 24 Ore di Le Mans del 1978, l’Alpine A450 di Ragues/Panciatici ha in questa stagione messo il proprio sigillo su tre podi – tra cui una vittoria in Ungheria – aggiudicandosi sia il titolo riservato ai Team che quello Piloti.

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Un en-plein che incornicia il rientro di un marchio storico dopo quello conseguito nel 1974 dalle Alpine-Renault condotte da piloti del calibro di Alain Serpaggi, Gérard Larousse, Jean-Pierre Jabouille e Alain Cudini.

Penso che possiamo dire che Alpine è tornata“, ha osservato Philippe Sinault, il Team Leader di Signatech Alpine. “Questa squadra è come una famiglia, che ha lavorato molto bene e molto duramente. Non è stato facile perché il progetto è partito tardi e ci è voluto un po’ di tempo prima che tutto fosse reso effettivo. Ma questo titolo racconta già una storia molto emozionante. Vorrei inoltre congratularmi con Paul-Loup Chatin per le sue performances che gli hanno valso il titolo nella sua categoria. È sempre stato un convinto sostenitore del nostro progetto e spero che entrerà a far parte del nostro programma della LM P2 del prossimo anno. È troppo presto per parlare del 2014, ma stiamo vagliando la possibilità di far gareggiare due Alpine 450 alla 24 ore di Le Mans, come parte di un programma più ampio“.

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Rimasto nel cuore di tantissimi appassionati grazie alle vittorie delle proprie vetture Sport ma, ancor di più per quelle delle celeberrime berlinette A 110, già lo scorso anno il marchio transalpino, aveva messo in agitazione il mondo del motorsport e dintorni presentando, in occasione del Gran Premio di F1 di Monaco la Renault Alpine A110-50, direttamente discendente dalla Dezir Concept.

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Prendiamo quindi l’occasione di questo rientro vittorioso, per ripercorre la storia di questa celeberrima stirpe di berlinette che hanno reso celebre il marchio “Alpine”.

In effetti, quel 27 maggio del 2012 gli spettatori presenti a Montecarlo, vennero fulminati da un solitario e velocissimo lampo blu che suscitò sensazioni diverse: generale sorpresa per la linea, aggressiva e chiaramente finalizzata alla velocità, ammirazione in chi – addetto ai lavori o intenditore che fosse – intuì il potenziale in termini di prestazioni, sottolineate dal ringhio degli scarichi, nostalgia infine nei tanti che, fans negli anni ’70 del secolo scorso, riandavano con la memoria ad altri lampi blu che in una magica notte del gennaio 1971 conquistarono i primi tre posti del Rallye di Montecarlo impareggiabilmente condotti da Andersson, Thérier e “Cavallo Pazzo” Andruet.

In realtà tuoni e lampi iniziarono nel lontano 1947 allorché Jean Rédélé, in anni successivi fondatore dell’Alpine, divenne concessionario Renault. Erede del DNA paterno, titolare d’officina e meccanica nel sangue, J.R. – nato a Deppie nel maggio del 1922 – iniziò a gestire, parallelamente alla concessionaria – una lucrosa attività di commercio e trasformazione di residuati bellici a scopi civili. I due impegni lo portarono a percorrere anche 100.000 km. l’anno e, complice la passione, il passaggio dall’asfalto dei viaggi a quello dei circuiti fu cosa naturale. 

Le origini del mito

Il “seme” dell’Alpine venne piantato nel 1953, anno nel quale Jean Rédélé elaborò del tutto artigianalmente una 4CV poi sostituita da una “4CV” preparata “Casa” che il nostro uomo riuscì a farsi assegnare dalla Renault proprio in virtù dei successi conseguiti; con quest’auto, costantemente rivista e migliorata, partecipò a gare come la Mille Miglia, la 24 ore di Le Mans, il Rally di Montecarlo, il Tour de France e la Liegi-Roma-Liegi vincendo nel 1954 il durissimo Criterium des Alpes (da qui la denominazione Alpine data all’Azienda fondata nello stesso anno).

Già nel 1952 J.R. aveva conosciuto il nostro Giovanni Michelotti, titolare dell’omonima carrozzeria, al quale commissionò una Coupé sulla base della 4CV utilizzandone meccanica e pianale; i tre esemplari in alluminio, realizzati dalla carrozzeria Alemanno su progetto Michelotti, non soddisfecero del tutto il committente che si rivolse quindi nel 1954 alla carrozzeria parigina Chappe ed Gessalin, specializzata, già in quegli anni, nella lavorazione della vetroresina.

Nascono la A106 e la A108

Dinalpin SIAM

La nuova collaborazione fruttò la prima Alpine che della 4CV conservava pianale, ciclistica e parti meccaniche : era nata la A106, prodotta dal 1955 al ’60 in versione coach e berlinetta. La A106 debuttò al Salone dell’Auto di Parigi in tre diverse versioni, fra le quali una cabriolet, e due motorizzazioni, suscitando forte sensazione fra i visitatori e nella stampa specializzata.

Convinto della presa dello sport sul pubblico, J.R. impiegò immediatamente la A 106 in corsa conseguendo la vittoria di categoria nella Mille Miglia del 1956 e prendendo contemporaneamente accordi per far fabbricare l’auto, su licenza, in Belgio; sarà questo la prima di una serie di analoghe concessioni per la fabbricazione delle Alpine su licenza oltre i confini francesi.

1960: la presentazione della A108 decretò l’uscita di scena della A106, che continuò tuttavia ad essere prodotta sino a fine anno, sostituita nel 1961 appunto dalla A108 a sua volta a listino sino al 1963; a chi ebbe l’opportunità di mettere visivamente a confronto le due vetture, certamente non sfuggì che mentre la A106 coach evidenziava una chiara discendenza dalla 4 CV, nella A108 vennero viceversa introdotti quei tratti stilistici e quei contenuti propri della berlinetta aerodinamica che poi sarebbe stata la A110 del 1962.

Le due berlinette si distinsero ovviamente anche in corsa; la A106 si aggiudicò nel 1956 la vittoria di categoria sia alla Mille Miglia e sia al Rallye di Montecarlo e nel 1960 la prima vittoria assoluta al Rallye Mont Blanc; mentre una delle vittorie più importanti della A108 su il primo posto nella categoria GT al Rallye des Violettes del ’61. 

Arriva la A110, il vero lampo blu

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Questa berlinetta per eccellenza, che quest’anno festeggia il suo cinquantesimo anniversario, si differenziava dalle sue ave principalmente per il disegno del padiglione e della coda, resi più cattivi e più estremi nel look, pur ereditando dalla A108 il frontale caratterizzato dai due fari laterali carenati e dai due centrali integrati alla carrozzeria. La A110 condivise comunque il listino in Francia con la A108 per tutto il 1963 mentre la produzione di quest’ultima prima e della A110 poi, proseguì su licenza ancora per qualche anno in Brasile (dal 1962) Spagna e Messico (dal 1963) e Bulgaria (dal 1968). Va detto che gli introiti derivanti dalla massiva concessione di queste licenze permisero alla piccola Casa francese di finanziare la propria attività agonista.

Pur condividendo con le sue “ave” l’impostazione generale, la A110 fu in realtà un progetto totalmente nuovo, nella carrozzeria, nata in vetroresina, nel telaio a trave centrale del tutto rivisto e nella meccanica. Una curiosità da ricordare è che la A110 venne nel 1962 presentata anche in versione 2+2, sulla base di una scocca opportunamente allungata comunque mai entrata in produzione e nel 1967 venne commercializzata in tre diverse versioni.

La bontà del progetto di base venne confermata dal fatto che partendo da un motore inferiore al litro, nel tempo le cilindrate crebbero gradualmente ma costantemente adottando nel 1964 il motore Gordini da 1.100 cc, nel successivo ’66 quello, sempre Gordini, da 1.300 cc (con il quale la berlinetta superò la fatidica soglia dei 200 km/h), un 1.600 cc nel 1969 seguito da alcune unità con cilindrate leggermente superiori ed infine il motore da 1,8 litri utilizzato però solamente nelle versioni da competizione.

Con un piccolo passo indietro nel tempo, torniamo al 1965, registriamo l’acquisizione da parte della Renault di una quota minoritaria del capitale della Alpine, alla quale demandò la gestione della propria attività sportiva traendone, di fatto, grandi vantaggi in termini di marketing ed immagine di gruppo.

Nel 1972 uscirono di produzione le 1.300 cc G e S, lasciando il listino alla 1.300 V85, alla 1.600 S e, cosa inusuale per una casa automobilistica ma non per l’Alpine, alla versione da competizione 1.600 S Gruppo 4; comunque già nel 1971, era stata presentata la A310 che, benché validissima, non entrò mai del tutto nel cuore degli appassionati.

Purtroppo, l’evoluzione del mercato, il minore interesse del pubblico per questa tipologia di auto e l’incombente crisi petrolifera, provocarono un drastico calo della domanda e J.R., dovette cedere alla Renault, che già da anni deteneva una significativa quota societaria, un’ulteriore quota divenendo azionista di minoranza. Rédélé diresse l’azienda sino a fine 1977 anno nel quale, in cambio della promessa del mantenimento per almeno 15 anni del posto di lavoro per tutti i suoi dipendenti, cedette la completa proprietà alla Renault. 

Una personalità sopra le righe

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Nella letteratura di genere l’accostamento dell’auto all’animale non è infrequente e noi, adeguandoci, diciamo quindi che la A110 alla leggiadria ed allo scatto del ghepardo unisce la potenza e la ferocia del leopardo, specialmente nelle versioni potenziate ed “allargate” che gareggiavano in Gruppo 4; l’auto ha in comune con i due felini anche le ridotte dimensioni esterne che si riflettono, inevitabilmente, su un’abitabilità interna piuttosto raccolta: non era (è) certo un’auto per chi abbia problemi di claustrofobia bensì per quanti amano letteralmente “indossarla” e, in questo caso il ”drop” doveva e deve essere “slim”; il tutto, tradotto dal sartoriale, significa che il posto di guida della A110 accoglie con disinvoltura i magri anche di una certa altezza ma più si possiedono le famose maniglie dell’amore, meno si deve essere alti; in altre parole un’auto che anche nell’abitabilità si impone in un certo senso al driver; chi scrive provò all’epoca una A110 Gruppo 3 da 1.600 cc.  ed essendo appunto piuttosto alto ma molto magro (all’epoca…), non ebbe problemi, a parte una sopportabile mediazione fra ginocchia, leva del cambio e volante…

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Un’auto le cui caratteristiche estetiche, tecniche e di guida la facevano e la fanno amare o detestare: la A110 tutto fa meno che lasciare indifferenti e questo significa, appunto, avere personalità da vendere. Al tempo si presentò immediatamente come un animale da corsa più che da Gran Turismo stradale dal cui archetipo si differenziava per l’abitacolo minuscolo, lo scarsissimo posto per i, pardon, il bagaglio e le caratteristiche di guida che la rendevano, se la si voleva portare veramente al limite, ingenerosa nei confronti di chi si aspettasse un po’ di comfort ma, soprattutto, non sapesse padroneggiare e sfruttare un sovrasterzo di potenza sempre in agguato.

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L’ammirazione per una linea che fa venire il prurito alle mani ed alla pianta del piede destro, è bilanciata (o dovrebbe esserlo) dalla consapevolezza di guidare (ma il termine esatto è pilotare) un mezzo che, se preso sottogamba, ti richiama(va) subito all’ordine sull’asciutto per non parlare del bagnato ma proprio lì era il fascino di questa berlinetta: lo straordinario piacere di guida e la costante necessità di mediare tra sterzo ed acceleratore, dovuta a quel benedetto motore a sbalzo comune ad una serie di cavalli di razza quali Renault R8 Gordini, Simca Rallye 2 e Porsche 356 e 911 che, nell’ambito delle rispettive categorie e campionati monomarca, fecero scuola, facendo emergere più di un valido driver ma di queste tratteremo in altra occasione… 

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Tecnica ed evoluzione

Rispetto alla 108 la A 110 rappresentò una vera e propria rivoluzione: completamente nuovo fu il telaio che di quello dell’antenata A 108 conservava solamente l’impostazione a trave centrale; altrettanto nuovi furono tutti gli organi meccanici, provenienti in parte dall’allora neonata Renault 8 che alla A110 prestò prima il suo 4 cilindri da 956 cc (con soli 50 cv l’auto sfiorava i 160 km/h) e poi – nel corso del 1964 – quello da 1108 cc della R8 Major i cui 60 cv iniziali lievitarono sino ad 86. Ma questo furono solamente i primi passi poiché nel 1967, sempre attingendo al “supermarket” Renault, i tecnici di Deppie dotarono in successione la loro berlinetta di tre unità di circa 1,3 litri: la prima da 1255 cc. (95 cv), la seconda da 1.296 cc (72 cv) ed infine 1.289 cc (110 cv) potenze che permisero all’auto di farsi sempre più apprezzare nel mondo dei rallyes.

Ma la A 110 acquistò equilibrio e completezza quando ricevette il 1.565 cc della R16 che nelle sue varie versioni erogava potenze oscillanti fra gli 80 ed i circa 150 cv; seguirono poi due unità da 1.605 e da 1.647 cc; da notare che la versione da 1.605 cc (motore e retrotreno in comune con l’entrante A310) sostituiva la 1600 S; nota con il soprannome di “quattro bulloni” per le ruote fissate appunto con quattro bulloni e non più con i tre della 1600 S, venne commercializzata in Italia con l’alimentazione ad iniezione che, pochi elaboratori – nell’impiego agonistico -riuscivano a mettere veramente a punto; per tale ragione molti tornarono ai due carburatori Weber DCO da 40 o 45.  L’ultimo capitolo del libro “motori” venne scritto dal 1.800 cc che, riservato unicamente alle corse, erogava circa 170 cv. Va ricordato che queste potenze vennero ottenute da motori aste e bilancieri il che rendeva ancora più apprezzabile il lavoro dei motoristi.

Il cambio era un 5 marce + RM, con frizione monodisco a secco, fornito in versione “normale” oppure, come si diceva in gergo, “grosso”, cioè rinforzato.  Le sospensioni erano tutte a ruote indipendenti ed a molle elicoidali ma mentre l’avantreno era provvisto di barra di torsione e bracci oscillanti, posteriormente si avevano bracci di forza a “V” e ben 4 ammortizzatori idraulici telescopici come i due anteriori.

I freni disco sulle quattro ruote erano a comando idraulico mentre quello di stazionamento era meccanico; gli pneumatici erano, nelle versioni di serie e Gruppo 3, dei 155/15”. Infine il peso a vuoto: inferiore ai 600 kg per tutte le versioni sino ad 1,6 litri saliva nella 1.800 cc a 710 kg. 

Palmares e piloti

Appena nata la A110 venne impiegata in gara e subito – come l’attuale A450 di Ragues/Panciatici – riscosse numerosi successi facendo anche da “scuola” a numerosi aspiranti piloti, uno per tutti Emerson Fittipaldi poi pluricampione di F. 1. La A110, declinata nelle sue diverse versioni, ha corso per più anni in più paesi e diventa quindi impossibile ricostruire, se non per ampio difetto, la messe di successi mietuta nel corso del tempo nei rallyes e non solo; ma anche in presenza di dati parziali il Palmares rimane comunque impressionante:

  • 1962: due vittorie di classe (Coupe des Alpes e Tour de France Automobile);
  • 1963: prima vittoria assoluta della A110 in un Rallye;
  • 1964: prime tre posizioni al Critérium des Cévennes;
  • 1965 : prima assoluta (Rallye du Mont Blanc);
  • 1966: quattro primi assoluti (Rallye Neige et Glace, R. Lyon-Charbonnières, R. du Mont Blanc e Critérium des Cévennes);
  • 1967: Campione di Spagna Rallyes; due vittorie assolute in Francia (R. DU Mont Blanc e Critérium des Cévennes);
  • 1968 : Campione di Francia e di  Spagna Rallyes; quattro primi assoluti (Tour de Corse, Rallye de Tchécoslovaquie, Coupe des Alpes, 12 Heures d’Ixelles) ;
  • 1969: Campione di Francia Rallyes; tre vittorie assolute (Boucles de Spa, Coupe des Alpes e Critérium des Cévennes);
  • 1970: Campionati europeo, francese e bulgaro Rallyes; 7 vittorie assolute (R. de Pologne, R. de Yougloslavie, Neige et Glace, R. Lyon-Charboniières, R. dell’Acropoli, R. di Spagna, Tour de Corse);
  • 1971 Campione Internazionale Costruttori Rallyes; quell’anno fra gare valevoli per il Campionato e non, 10 furono le vittorie assolute conquistate dalle A 110: primi tre posti al Rallye di Montecarlo; Acropoli, San Remo, Lyon-Charbonnières, Austria, Portogallo, Coupes des Alpes, Spagna, Marathon de la Route (ben 10.464 km…), R. du Var;
  • 1972: 6 vittorie assolute: R. Neige et Glace, Lyon-Charbonnières, Ronde de la Giraglia, Critérium des Cévennes (questa conquistata con una A110 Turbo), Tour de Corse, Rallye de Tchécoslovaquie;
  • 1973: Campionato del Mondo Rallyes con nuova tripletta al Rallye de Monte-Carlo, seguita da 5 vittorie in altrettante prove del mondiale: Marocco, Portogallo, Acropoli, San Remo, Tour de Corse;
  • 1974: Campione di Francia e 6 vittorie assolute: R. del Marocco, Ronde Cévenole, Tour de la Réunion, Rallye du Mont Blanc, Ronde de la Giraglia, Rallye du Var;
  • 1975: Campione di Francia e 5 vittorie assolute: Neige et Glace, Ronde de la Giraglia, Ronde Cévenole, Ronde d’Essen, Tour de la Réunion;
  • 1976 : due vittorie assolute: Rallye du Mont Blanc, Tour de la Réunion.

Tra i migliori “interpreti” della A110 ricordiamo, anche qui per difetto: J. C. Andruet (Biche), Andersson (Todt, proprio l’ex a.d. Ferrari ed oggi Presidente FIA), Nicolas (Vial), Jaen-Luc Thérier, Jean-Francois Piot, ed infine lo sfortunato Jean Luc Thérier. 

La A110 in Italia

La berlinetta francese ha avuto un notevole seguito anche in Italia con i piloti Giuseppe Giacomini, fondatore e titolare della Giada Corse di Lavagna; Emilio Paleari, Campione Italiano Assoluto GT 1972; Sergio Rombolotti, plurititolato con l’Alpine e vincitore del primo Campionato Divisioni nel 1979; Annino Conti (Campione Gruppo 3 F.I.S.A. di Gruppo 3 1973); Erberto Rossi, pilota e collaudatore della Giada Corse e poi costruttore di vetture prototipo, Giuliano Altoè, Pietro Polese, Luigi Zandonà, Gianfranco Ricci, “Tony” Fassina, Aldo Fasan,  Adolfo Nesi, “Poker”, Galimberti, Sergio Rombolotti, Erberto Rossi e Guido Daverio.

Oggi le A110 vivono la loro seconda vita, come tutte le vetture d’epoca di pregio storico e sportivo, nel mondo delle compravendita specializzata (anche se chi ha la fortuna di possederne un esemplare, difficilmente se ne separa, il che ha fatto lievitare le quotazioni a 70-80.000 euro e più) in quello dei raduni ed infine – più appropriatamente – nel mondo delle competizioni riservate a vetture d’epoca dove continuano a riscuotere i successi di un tempo; numerosissimi i club di marca ovunque nel mondo. 

La A110-50 ovvero il futuro

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All’epoca della presentazione l’olandese Laurens van den Acker, responsabile del design di Renault, evidenziò con i legami, già sottolineati dal nome, del nuovo modello al vecchio: “non abbiamo voluto realizzare un design retrò: l’obiettivo era inserire il modello nella modernità di oggi, con sottili allusioni al passato”.

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La A 110-50 rappresenta quindi, uno specifico trait d’union tra passato e futuro ed in effetti in questa concept-car c’è molto della A110 ma non solo: la carrozzeria è fluida come la sua snella progenitrice ma al tempo stesso totalmente differente per la sua aerodinamica muscolarità; il blu metallizzato attualizza quella della sua ava ma la studiata spezzatura trasversale arancione sembra rimarcare la distanza temporale; l’operazione nostalgia prosegue con i gialli proiettori aggiuntivi (ma a led…) ma poi si torna a tempi più recenti grazie alle portiere ad ala di gabbiano che, incernierate anteriormente (a differenza della Mercedes Gullwing che le ha lanciate), ricordano la Mégane Trofeo di qualche tempo fa.

La carrozzeria un tempo in fibra di vetro è oggi in carbonio mentre le due prese d’aria – poste su ciascuna fiancata come sulla A110 – raffreddano una il cambio e l’altra il motore); quest’ultimo, pienamente visibile sotto al lunotto tridimensionale, è il V6 “V4Y” da 3,5 litri di cilindrata posto, a differenza di quello posteriore a sbalzo della A110, in posizione posteriore centrale. L’alimentazione per gli oltre 400 cv di potenza è assicurata da una presa d’aria integrata nel tetto che convoglia il fluido verso il cassoncino in carbonio prelevato dalla Mégane Trophy V6 e verso l’impianto ad iniezione e le quattro valvole per cilindro. Presente anche un po’ d’Italia, rappresentata dalla centralina Marvell 6R prodotta dalla Magneti Marelli che integra la gestione di motore e trasmissione, assicurando anche l’acquisizione dei dati per la telemetria che possono essere analizzati grazie al software Wintax.

La trasmissione è sequenziale a 6 rapporti dotata di differenziale autobloccante ed un comando semi-automatico che promette cambiate rapidissime e precise in pochi millisecondi (del resto basta “sentire” i video); le cambiate possono essere comandate tramite il classico pedale della frizione (bidisco cerametallica) oppure con i paddle posti dietro al volante.

a110 50 10Anche l’impostazione dell’abitacolo, nero come sulla A110, condivide con questa l’impostazione corsaiola ma, come su alcune supercar di oggi, trasuda carbonio e tecnologia; i sedili sono ovviamente avvolgenti e dotati di cinture Sabelt a quattro punti mentre la plancia è concentrata in un unico display a colori sul volante a ricordare il legame fra questa A110-50 e la monoposto di Formula Renault 3.5.

Dalla Mégane Trophy riceve il telaio tubolare (medesimo il passo), attualizzato e modificato in funzione del più basso baricentro e della inferiore altezza da terra, mentre l’aerodinamica è tesa a minimizzare una non lieve sezione frontale e ad ottimizzare effetto suolo: il carico verticale sull’avantreno è assicurato dall’area di depressione creata dallo splitter posto all’interno del fascione, mentre quello sul retrotreno si deve al diffusore che accelera il flusso d’aria in uscita (ricevuta dal fondo piatto) creando, anche qui, un’area di depressione che risucchia il retrotreno verso il basso mentre la pressione verticale è assicurata dallo spoiler regolabile.a110 50 5

L’assetto della A110-50 conta su carreggiate allargate rispetto alla Mégane Trophy (1.680 mm davanti e 1.690 mm dietro), sospensioni a doppi triangoli sovrapposti, specifici ammortizzatori Sachs a doppia estensione regolabili, barre di torsione anch’esse regolabili; quindi ampia possibilità di personalizzare ed ottimizzare l’assetto attraverso la regolazione fine del rollio nonché del camber, dell’incidenza, e dell’altezza da terra. a110 50 9Anche la pressoché ottimale distribuzione dei pesi (il 47,8% delle masse grava sull’anteriore) contribuisce alla migliore tenuta di strada del mezzo. Ma non è finita in quanto i freni sono dei surdimensionati dischi ventilati in acciaio, da 356 mm di diametro davanti e 330 mm dietro e pinze Ap Racing rispettivamente a sei e quattro pistoncini. Completano il quadro i cerchi di alluminio da 21 pollici (a serraggio mono-dado), le coperture Michelin ultra-ribassate omologate stradali, i quattro martinetti di sollevamento ed infine l’assenza di sistemi elettronici di assistenza alla guida (come ABS ed EPS): il tutto a sottolineare la mancanza di compromessi che caratterizza l’auto.

Giovanni Notaro

 

 

Per i più appassionati segnaliamo infine i link ad alcuni video di specifico interesse:

Storia della A110:   http://www.youtube.com/watch?v=6LotzjniD2E  (lungo video ufficiale della Renault)

Restauro A110:  http://www.youtube.com/watch?v=70Cm5EyJCcw

Camera car A 110: Serpaggi-Prevost su strada http://www.youtube.com/watch?v=w5cs-BvQXDs

A 110-50

http://www.youtube.com/watch?v=-11A-FtTibs

http://www.youtube.com/watch?v=1pFUYDSLQwg

http://www.youtube.com/watch?v=70Cm5EyJCcw