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Il Transporter VW si fa in «Sei»

Arriva la sesta generazione del fortunato commerciale di Volkswagen. Il comfort è ora a livello automobilistico, perfino con comandi elettrici per la regolazione dei sedili e l’apertura del portellone. Nuovi i motori, tutti con start&stop di serie e consumi ridotti del 15%. Più sicurezza con i sistemi di assistenza alla guida, e infotainment avanzato di ultima generazione

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Stoccolma (Svezia). Si chiama Volkswagen Transporter. Ma per i più, senza mezzi termini, è stato e sempre sarà «il pulmino» o anche, all’occorrenza, quell’automezzo che più di altri ci viene in mente quando dobbiamo pensare genericamente a un furgone. Se le cose stanno così è perché il Transporter, più che un veicolo, è un’icona. Un’icona prodotta in 12 milioni di esemplari, da 65 anni sulle strade del mondo, che è appena arrivata alla sesta generazione.

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Con lo slogan «Non c’è futuro, senza passato» il commerciale Volkswagen è ora completamente rinnovato nell’estetica e nelle motorizzazioni: le linee tese del «T6» non si discostano troppo dalla precedente edizione, lanciata nel 2002. Il frontale, ampiamente rivisitato, richiama i valori di tradizione, fermezza e solidità che hanno consolidato la fama di un veicolo senza tempo. In vendita da settembre, il «T6» è proposto in oltre 500 varianti di allestimento, partendo dai tre consueti allestimenti di base: dal veicolo commerciale (Furgone, Camioncino a cabina singola e doppia, autotelaio e Kombi) alle versioni per il tempo libero «California», fino ai monovolume «Multivan» e «Caravelle» studiati per l’impiego professionale e privato.

La storia comincia nel 1950 con il T1. Anzi, con il Typ 2

Parafrasando la celebre, bellissima frase di Carlo Levi, potremmo scrivere che il Transporter del futuro ha un cuore antico: dietro uno degli autoveicoli più famosi del mondo, c’è una storia che vale la pena riassumere.

La prima versione del Transporter viene lanciata nel lontanissimo 1950. La leggenda vuole che sia nata dallo spirito di iniziativa di un importatore olandese della Volkswagen che nel 1947, visitando gli stabilimenti di Wolfsburg, si imbatte in uno strano mezzo di trasporto, utilizzato in una fabbrica per movimentare i materiali pesanti. Quel curioso veicolo, che stimola la curiosità dell’importatore, era stato realizzato artigianalmente dalle maestranze del posto, utilizzando l’indistruttibile motore del Maggiolino, «l’auto del popolo» già lanciata prima dell’ultimo conflitto mondiale. La visione strategica di quell’olandese, che propone di realizzare un veicolo commerciale sulla base della famosa autovettura, è talmente lungimirante al punto che, come siano andate le cose, è storia nota. Il primo furgone è lanciato sul mercato a partire dal marzo 1950: è dotato in origine dello stesso motore del «Typ 1», ovvero il «Maggiolino» (4 cilindri boxer da 1.131 cc, con «ben» 25 cavalli). Per seguire un ovvio ordine logico, il nuovo modello viene denominato «Typ 2», e come tale rimarrà ufficialmente: penseranno gli storici, per questioni pratiche, a denominarlo T1.

Nel corso degli anni il furgone VW (o pulmino, se destinato al trasporto persone), pur seguendo fedelmente l’evoluzione dell’auto da cui deriva (aumentando progressivamente cilindrata e potenza, per esempio), conquista una sua identità autonoma e inconfondibile, grazie anche ad alcuni movimenti culturali e sociali che contribuiscono fortemente a connotare il veicolo come vessillo dell’indipendenza, dell’anticonformismo e del cammino verso il nuovo. Ci troviamo nella seconda metà degli Anni Sessanta, in quello che su entrambe le sponde dell’Atlantico passerà alla storia come il periodo più intenso e tumultuoso dei cambiamenti attraverso la contestazione verso le autorità, le istituzioni e le ideologie. Hippies, pacifisti e «figli dei fiori» vedono nel T1, che tuttavia si chiama ufficialmente «T2 Split» (o più sbrigativamente «Bulli», come è stato soprannominato) il loro veicolo preferito. Perché è pratico e utile e comodo come un’auto, senza essere un’auto. E questo accade tanto sulle strade d’Europa quanto sulle highways americane.

Fra i tanti film, telefilm e racconti che contribuiscono a suggellare questa identità anticonformista, ricordiamo «Alice’s Restaurant» di Arthur Penn, dove il Transporter di Arlo Guthrie è un prezioso compagno di viaggio attraverso un’America in dissoluzione.

L’associazione al movimento hippy non aveva tuttavia impedito alla versione «Samba», lanciata all’inizio di quel decennio formidabile, di diventare il primo minibus di lusso prodotto in grande serie.

E il camper Westfalia, con quell’inconfondibile apertura telescopica centrale, che permette agli occupanti di vivere lo spazio interno anche stando in piedi apre, nel frattempo, nuove frontiere alla crescente industria del turismo. Siamo negli anni Sessanta inoltrati: il T1 è già un’icona di stile, e ora diventa anche una presenza abituale nelle località turistiche di mezzo pianeta.

Anni sessanta: tempo di T2

Nel 1967, dopo essere stato prodotto in quasi 1,8 milioni di esemplari, in Volkswagen decidono di affrontare il primo, importante avvicendamento. Il T1, ovvero il modello «T2 Split» cede così il testimone alla versione «T2 Bay», così chiamata in ragione dell’evidente ampiezza del parabrezza, ora a pezzo unico invece dei due caratteristici vetri angolati e a tutto vantaggio della visibilità. Nasce così il «vero» T2, e arrivano finalmente quei miglioramenti attesi dalla clientela.

La carrozzeria è adesso più squadrata, meno emotiva ma più razionale. Frenata e tenuta strada migliorano considerevolmente, grazie all’introduzione di numerosi affinamenti tecnici (freni a disco inclusi), così come la silenziosità e il comfort interno, e le prestazioni. Prosegue l’evoluzione dei motori boxer a benzina: il 1.300 da 40 cavalli tiene banco ancora per qualche anno, ma esce di produzione nel 1975. Cresce invece la cilindrata maggiore: da 1.500 a 1.600 cc con 50 cavalli, viene portata poi fino a 1.800 cc con 68 cavalli. Il Westfalia ha ora un’apertura «a libro» sul tetto, che diventa nelle ore notturne un ambiente in più, consolidando la sua grande diffusione nei camping e nelle località di vacanza.

1979: arriva lo squadrato T3

Nel 1979 VW presenta la terza serie del Transporter: è ufficialmente denominata «T25» o, anche, Gioppo, ma finirà per essere chiamata T3. Si tratta, ancora una volta, di un’evoluzione del modello precedente, caratterizzata da una nuova carrozzeria più squadrata e da ulteriori affinamenti alla meccanica, che nella disposizione non viene affatto stravolta. La nuova e spigolosa carrozzeria interpreta con eleganza gli stilemi in voga negli anni settanta, e garantisce un ulteriore incremento di spazio a bordo, tanto nel vano merci che in cabina, mentre l’abitacolo si presenta meglio rifinito e accessoriato. Il posto guida comincia a tendere verso un’impostazione più da autovettura che da furgone: il volante non è più orizzontale ma tende a essere inclinato verso il guidatore. Non è possibile nessun paragone o riferimento ai monovolume, perché i monovolume non esistono ancora: arriveranno in Europa a partire dal 1984, trainati dalla Renault Espace e dagli scatenatissimi giapponesi.

L’innovazione tecnica più consistente è l’adozione di un nuovo avantreno McPherson (ripreso da quello montato sul Maggiolone 1303) in luogo delle precedenti barre di torsione, e dei motori boxer di cilindrata di 1.584 o 1.971 cm³ (54 o 70 cv). I miglioramenti introdotti col T3 non bastano certo per renderlo all’avanguardia, ma la clientela sa apprezzare la validità di una soluzione tradizionale, aggiornata quando e dove è opportuno, e i risultati non tardano ad arrivare. Molti concorrenti, come il Fiat 242 del 1974 e, nel 1981, il Ducato, si stanno orientando al «tutto avanti», offrendo così una maggior praticità e un’ancor migliore facilità di guida. Ma l’affidabilità e la robustezza del mezzo (che supera magnificamente le severissime prove di crash, malgrado l’impostazione classica del «tutto dietro»), unitamente alle numerose varianti di carrozzeria disponibili, permettono al T3 di ritagliarsi uno spazio ben definito. Un riconoscimento confermato a partire dal 1981, quando viene offerta la possibilità di montare, in alternativa ai boxer a benzina, il motore diesel di 1.600 da 50 cv derivato dai modelli Golf e Passat.

L’anno successivo è poi introdotto un motore boxer a benzina raffreddato ad acqua (wasserboxer), con potenze variabili da 60 a 78 cv, secondo il tipo di carburatore installato.

Nel 1983, conformemente alla tendenza generale alla sovralimentazione, la gamma dei motori è completata da un nuovo turbodiesel di 1,6 litri da 70 cv: nuovi anche i due boxer a benzina di 2,1 litri, alimentati a iniezione rispettivamente da 95 e 112  cv. La versione da 95 cv è equipaggiata con catalizzatore, e questo motore è proposto anche sul Caravelle, variante meglio rifinita del Bus, adibito al trasporto di persone, che con le finiture automobilistiche e la possibilità di avere il turbodiesel 1.600 è sempre più antesignano dei moderni esempi di monovolume.

Nel 1985 è poi introdotta, sulle tutte le versioni autocarro e sul Caravelle, la trazione integrale Syncro, con trazione integrale permanente, ripartizione continua e automatica della forza motrice tra avantreno e retrotreno regolata da una viscofrizione. Le capacità fuoristrada dei mezzi, assemblati negli stabilimenti Steyr Puch in Austria, sono aumentate dai dispositivi di blocco dei due differenziali anteriore e posteriore, comandabili dalla cabina di guida. Complessivamente il T3 (o T25 che dir si voglia), è stato prodotto in 1.227.669 unità.

1990: il T4 adotta la trazione anteriore

Nell’autunno del 1990, dopo oltre 1 milione e 200mila unità del T3, avviene un radicale cambiamento: il Volkswagen Transporter si chiama ora T4 e i cambiamenti, rispetto al modello precedente, sono notevoli. Il motore posteriore è consegnato alla storia, a favore di una soluzione convenzionale: sul pullmino VW motore e trazione sono adesso anteriori, come su pressoché tutti i veicoli della concorrenza. La nuova scelta costruttiva permette di offrire due passi distinti, 2.920 e 3.320 mm, e crescono le cilindrate dei motori: al range disponibile alla fase del lancio (2.0 benzina, 1.9 diesel e turbodiesel, e 2.4 diesel aspirato) si aggiungono nel 1996 il 2.5 benzina e il 2.4 turbodiesel.

Numerose le versioni: cabina e doppiacabina (passo lungo), commerciale e finestrato, Caravelle per trasporto persone, Multivan e, naturalmente, le versioni per il tempo libero Westfalia Multivan e Westfalia California. Anche per il T4 è disponibile la versione Syncro (trazione integrale), con schema ovviamente invertito rispetto al T3, e bloccaggio differenziale opzionale solo al posteriore.

Il T4 resta in produzione per 13 anni, finché non viene sostituito dal T5, presentato alla fine del 2002 e disponibile nelle versioni Multivan, California, Caravelle e Transporter.

È un mezzo particolarmente apprezzato – oltre ovviamente alla nazione ove è prodotto – nel Regno Unito, in Turchia, in Francia e in Italia. Venduto in oltre due milioni di esemplari in tutto il mondo, ma non negli USA e nel Canada, si conferma nel primo decennio del secolo come riferimento nella categoria, e icona di stile nelle versioni più lussuose. Come a voler essere anello di congiunzione tra il minibus e il monovolume.

2015: arriva il T6

Vale per le auto, così come per i veicoli commerciali: gli anni passano, e il mercato si aggiorna continuamente. Fedele a una periodicità che sembra ormai essersi assestata in un arco temporale di dodici anni, il mese scorso Volkswagen ha presentato a Stoccolma la gamma del nuovo T6, o «Generation Six», di imminente commercializzazione. Dopo le anticipazioni di primavera (Volkswagen T6: il Bulli è tornato), siamo finalmente entrati in contatto col nuovo commerciale di Wolfsburg: notiamo subito che la linea, come detto in apertura, è una continuità filologica con il fortunato T5, e il design del frontale combina l’aspetto imponente con l’eleganza di linee nette, disegnate in modo consapevole e ben definite.

Tutto questo conferisce alla gamma un carattere moderno ma senza tempo, quindi sempre attuale. Grazie alla grembialatura anteriore abbassata, che si solleva quasi verticalmente sopra la carreggiata, la nuova generazione appare più affascinante, esclusiva e dinamica, rafforzando l’identità del Transporter. L’originalità dello stile caratterizza anche il posteriore, la cui nervatura orizzontale sottolinea con enfasi la larghezza del veicolo, ulteriormente messa in evidenza dall’ampio lunotto e dall’alloggiamento della targa (illuminata a Led) abbassato e nettamente incorniciato nella sua geometria. Non passano inosservati gli specchietti retrovisori esterni, ora disposti più in basso, gli indicatori di direzione posizionati in modo dinamico nella nervatura e i cerchi di nuova concezione – da 16, 17 e anche da 18 pollici – che impreziosiscono la vista laterale. L’impostazione in apparenza conservativa del progetto – tutto quel che va bene non si cambia, tuttalpiù si migliora – dissimula tuttavia importanti innovazioni nei contenuti, a partire dai propulsori.

Del tutto nuovo, e impostato fin dall’origine per rispondere alle norme Euro6, il motore TDI 2.0 (1984 cc, per l’esattezza), declinato in quattro varianti di potenza: 84, 102, 150 e, grazie alla doppia turbina, ben 204 cv. Elevata e generosa la coppia disponibile: fino a 350 Nm nel 150 cavalli, dove è erogata già a 1.500 giri/min. Cambio a cinque marce per i due motori meno potenti e a sei per tutti gli altri, a loro volta disponibili anche con cambio DSG a sette rapporti. In alternativa alla classica trazione anteriore, l’integrale 4Motion: è disponibile sia con i cambi manuali, che nelle versioni DSG. Notevolmente migliorata l’efficienza: la versione Bluemotion da 102 cavalli dichiara emissioni di 145 grammi di CO2 e un consumo di soli 5,5 litri per 100 km, valori di riferimento nella categoria ottenuti grazie alla rivisitazione di testa e distribuzione. E su tutta la gamma, grazie agli affinamenti tecnologici e all’introduzione del dispositivo Start&Stop, la Casa ha annunciato di aver ridotto i consumi del 15% rispetto al T5.

C’era da attendersi che anche gli interni rispecchiassero l’evoluzione del veicolo: in effetti plastiche e assemblaggi sono di notevole fattura, e anche nelle versioni più essenziali ritroviamo quella sobria eleganza che rappresenta, per il marchio, una delle principali valenze estetiche e, per l’acquirente, un indiscutibile valore aggiunto.

Come sempre, le caratteristiche ergonomiche e i numerosi vani portaoggetti – studiati in funzione del modello – rendono la nuova plancia della gamma T particolarmente adatta all’utilizzo quotidiano. Sui modelli più accessoriati, sedile del guidatore e quello del passeggero davanti sono regolabili e riscaldabili elettricamente. A richiesta è disponibile un parabrezza riscaldabile che, in pochi istanti, elimina brina e ghiaccio impedendo il congelamento delle spazzole tergicristallo.

La plancia è realizzata con due impostazioni diverse: scomparti e vani portaoggetti possono disporre o meno dello sportello di chiusura, in funzione del modello e a seconda del numero di sedili nella cabina. Spicca soprattutto la consolle al centro, dal design originale: molto stretta nella versione per trasporto merci, diventa più larga nelle versioni adibite al trasporto persone. In questo caso trovano spazio altri due portabevande «integrati», uno scomparto con presa multimediale inclusa interfaccia per telefono cellulare «Comfort» (a richiesta) e un portabottiglie estraibile che, come il relativo cassetto portaoggetti, può essere refrigerato tramite il climatizzatore.

Come va

Sulle autostrade svedesi, e nelle comode statali che sfiorano i boschi e i laghi dello Svealand, abbiamo potuto fare conoscenza con il T6. Concentriamo fin da subito la nostra attenzione sulla versione «Caravelle» da 150 cv, con cambio DSG e trazione integrale: in pratica, quasi il top di gamma e un propulsore che, prevedibilmente, sarà tra i più richiesti dalla clientela italiana. Una volta dietro al volante ed effettuate tutte le regolazioni, il motore si avvia con una garbata ma decisa tonalità. Una volta in marcia, apprezziamo fin dai primi chilometri i sensibili miglioramenti nell’acustica interna: sul T6 si può conversare a bassa voce, e per gli incontentabili c’è una ricchissima lista di accessori per l’intrattenimento e l’ascolto multimediale. La posizione di guida ha poco del commerciale, e molto del monovolume: il volante sembra quasi venirci incontro con naturalezza e, complice anche la generosa erogazione di coppia e la perfetta calibrazione delle sospensioni, sembra di aver guidato il T6 da sempre. Le funzionalità dei più avanzati dispositivi di sicurezza, presenti in gran numero su questa versione, sono al livello delle auto più prestigiose. Abbiamo così modo di apprezzare l’ottimo impianto hifi, comprensivo di Digital Radio, e l’impeccabile sistema di navigazione. Praticamente sterminata, poi, la gamma di soluzioni telematiche e di infotainment disponibili a richiesta, per personalizzare nel dettaglio il veicolo. Tutte funzionalità che ci tornano assai utili in autostrada, dove una volta arrivati senza sforzo a 100 km/h e oltre, decidiamo di prendercela comoda. Non solo per la piacevolezza del mezzo, ma anche per altre ragioni.

Qui il limite di velocità è di 110 km/h, ed è decisamente sconsigliabile superarlo: prima dei test, gli uomini della Volkswagen si erano preoccupati di informarci che l’abituale livello di tolleranza negli altri paesi, qui è del tutto sconosciuto. E a sentire gli importi delle contravvenzioni, c’è quasi da sentirsi male. Siamo dunque abbastanza motivati per andare senza fretta e affidarci al cruise control adattivo, che gestisce in modo intelligente la distanza dal veicolo che ci precede, rallentando automaticamente se questo ha una velocità inferiore mentre il display frontale, con una serie di icone colorate di facile lettura, ci avvisa di quello che succede. Il mezzo dispone anche del sistema di emergenza City: attivo fino a 30 km/h, ferma completamente il «T6» se si trova di fronte a un ostacolo. Usciti dall’autostrada, ci addentriamo nelle foreste della provincia sulla viabilità ordinaria, a stretto contatto col traffico quotidiano della Scandinavia.

Le sospensioni sono ottime, ed è decisamente contenuto il rollio: non contenti, e soprattutto incuriositi dall’abbinamento «cambio DSG + trazione integrale 4Motion», azzardiamo una timida (ma non troppo) uscita sullo sterrato, immettendoci in una stradina di campagna sterrata, e un po’ dissestata. La reazione del T6 qui è tutto sommato discreta, ma migliorabile: del resto, sappiamo di non trovarci su un fuoristrada, benché il veicolo su cui ci troviamo abbia anche la funzione di controllo della velocità nelle discese più ripide. Ci piacerebbe provarla ma di discese sconnesse, nell’amena zona dove ci troviamo, nemmeno l’ombra. Rientrati sulle statali, tutte tenute perfettamente come tavoli da biliardo, proviamo a selezionare la modalità semimanuale del cambio, apprezzando l’azzeccata spaziatura dei rapporti e l’istintiva posizione della leva, posta in alto sul cruscotto.

Altrettanto istintivamente, tanto è il nostro coinvolgimento nella guida al punto da dimenticarci che ci troviamo su un van, cerchiamo i paddle sotto il volante, come se fossimo su una vettura sportiveggiante: ma il T6, pur assomigliando a un’automobile, non lo è. Quindi, niente paddle: ma i comandi dell’ottimo cambio a doppia frizione sono posizionati felicemente al punto che ne possono sentire la mancanza solo gli appassionati della guida veloce estrema, che peraltro si troveranno pienamente realizzati nella versione di maggiore potenza (204 cv), in grado di raggiungere i 203 km/h e sprigionare 450 Nm di coppia già da 1.400 giri/min. Ogni tanto ci concediamo qualche entrata in curva un po’ «allegra», pur sempre nei limiti imposti e nel rispetto del traffico circostante (oltremodo scarso), scoprendo che i limiti di tenuta sono decisamente elevati, che lo sterzo – morbido per non essere affaticante, ma non leggero al punto da diventare insensibile – è preciso e tendenzialmente neutro, e che il T6 resta praticamente incollato al terreno. Ricchissima, e degna di un’auto di gamma media, la gamma di accessori a richiesta, come la regolazione attiva DCC delle sospensioni, selezionabili nell’assetto comfort, normale e sportivo, che rendono il veicolo più reattivo, e conforme alle esigenze del guidatore, in grado così di trovare il «suo» modo di sentire il T6. Proprio come nelle autovetture di gamma medio alta. Riconsegnato il Caravelle, è adesso a tiro un furgone più classico, di quelli chiusi.

È la versione «di attacco» del Transporter, col tranquillo motore da 84 cavalli e cambio manuale a cinque marce, ma con tutti gli accessori indispensabili per la sicurezza: a partire dall’utilissima e provvidenziale telecamera per le manovre posteriori, con ovviamente la visualizzazione grafica del percorso indotto dalle ruote e i sensori d’ingombro. Più contenute, inevitabilmente, le prestazioni, sempre impeccabili gli innesti della leva del cambio. L’ottima elasticità del motore non fa rimpiangere la mancanza della sesta marcia. Chi comunque desiderasse un po’ di brio in più, senza per questo avere velleità prestazionali, farà bene a indirizzarsi sull’equilibrata versione da 102 cavalli.

I prezzi IVA esclusa partono da 21.137 euro per i furgoni, e da 28.456 euro per le versioni destinate al trasporto passeggeri.

[ Alessandro Ferri ]